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Avendo spostato molti obiettivi alle ultime rate, all’erede (o eredi) del ministro toccherà con ogni probabilità accettare un taglio alle ultime rate e/o attivare i poteri sostitutivi nei confronti delle amministrazioni inadempienti


Raffaele Fitto è riuscito a realizzare il sogno di ogni ministro: creare a sua immagine e somiglianza una struttura amministrativa fatta di decine di funzionari e dirigenti, spesso nuovi assunti. E il ministro del governo Meloni l’ha fatto non solo per una ma per tre volte: per la struttura Pnrr, per il dipartimento Coesione abolendo l’agenzia territoriale della coesione e per la Zes unica del Sud, cancellando le otto strutture delle Zes locali. La strategia è quella della centralizzazione. Tutto legittimo, e forse a volte anche opportuno (ma cosa ne pensano i sostenitori dell’autonomia?), ma qualora Fitto dovesse andare a Bruxelles, come si gestisce il tutto? Perché ovviamente rivoluzionare le strutture ha generato molti ritardi, i cui costi presumibilmente ricadranno sull’erede. 

In tutto il mondo, il concetto di Zes (Zone economiche speciali) è quello di zone industriali dal perimetro limitato a cui concedere sia un beneficio amministrativo sia un beneficio economico ad hoc. Così si erano avviate anche le otto Zes del Sud Italia. Con la centralizzazione della struttura amministrativa, però, sembra che ora entrambi i benefici siano venuti meno. Le Zes locali erano strutture agili che interloquivano direttamente con le imprese e potevano concedere permessi in maniera rapida, avevano a disposizione 680 milioni per progetti avviati e, al momento del passaggio di consegne alla struttura centralizzata, hanno lasciato 200 autorizzazioni in corso. 

Per ora nessuna di queste autorizzazioni è arrivata alla fine. Ma dal punto di vista del beneficio economico rischia di andare pure peggio. Poiché ci sono 1,8 miliardi a disposizione e richieste per 9 miliardi, l’Agenzia delle entrate applicando la legge (che giustamente vuole evitare sprechi tipo Superbonus) ha ridotto proporzionalmente il beneficio pro capite da un credito di imposta del 60 per cento a uno molto minore. Ma l’errore sta nel manico: è stato  voler trasformare una politica mirata, la Zes, in una politica indiscriminata aperta a tutti. Lo stesso errore che si è fatto per il Superbonus, per la decontribuzione Sud, per il regime forfettario degli autonomi. 

Il riparto regionale dei fondi di coesione nazionali (80 per cento sud e 20 per cento nord) era già pronto nella primavera del 2022 con la ministra Carfagna. Per cortesia istituzionale fu lasciato al governo Meloni. Adesso quello stesso riparto arriva alla firma nel luglio 2024, esattamente due anni dopo. Nel frattempo le regioni che programmano le risorse per gli investimenti con una tripletta fatta di risorse – europee, nazionali e regionali – hanno dovuto ritardare su alcuni progetti anche la programmazione europea 2021-2027 che infatti non ha speso nulla a metà del 2024. 

L’intento di Fitto, con la scusa di avere la responsabilità del Pnrr, era di coordinare la programmazione di tutti i fondi in modo che fosse visibile anche al suo ministero. Alla fine nei fatti non è così, perché in pratica ogni regione  farà da sé. Nel frattempo sono stati dirottati alcuni progetti Pnrr su altre fonti di finanziamento ed è stato dato il permesso di utilizzare i fondi di coesione anche per pagare il cofinanziamento dei fondi europei, la girandola dei finanziamenti crea un domino di riardi. Tanto è vero che c’è stato bisogno di un’altra legge che permette di procedere con gli anticipi in attesa degli accordi quadro bilaterali   ministero-regioni (tre delle quali non hanno ancora firmato). Questo è stato il modo con cui la  Sicilia e Calabria hanno ceduto un miliardo e 600 milioni per il ponte di Messina a valere sui loro fondi di coesione e la Campania ha dovuto cedere un miliardo per Bagnoli.

Sul Pnrr ho scritto già in passato, e anche Giorgio Santilli su questo giornale. Nell’ansia di mostrare che c’era un nuovo piano del nuovo governo, la direzione è stata quella di stralciare dal Pnrr le opere dei comuni e finanziare quelle delle imprese. Si pensava che le imprese avrebbero speso più in fretta, ma a oggi il piano Industria 5.0 non è ancora del tutto operativo. Nel frattempo, per assenza di informazioni sono stati stralciati proprio i lavori dei comuni che risultavano i più avanzati in termini di gare e aggiudicazioni. Con l’accortezza politica di non toccare le opere che fanno capo al ministro Salvini, ma solo quelle del ministro tecnico Piantedosi. E così alla fine si sono arrabbiati prima i comuni e poi anche le regioni. 

Ma il punto fondamentale è che avendo spostato molti obiettivi alle ultime rate, all’erede (o eredi) di Fitto toccherà con ogni probabilità accettare un taglio alle ultime rate e/o attivare i poteri sostitutivi nei confronti delle amministrazioni inadempienti, comunque vada un compito improbo. 



 

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