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Alluvione, ripristinare la fertilità dei suoli è possibile #adessonews

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alluvione

Dopo analisi e sperimentazioni sono state messe a punto miscele in grado di modificare la struttura del terreno e aumentare la sostanza organica

Gli studi condotti nei laboratori di ricerca e nell’azienda agricola sperimentale della società Ecosistemi, con sede a Gariga di Podenzano (Piacenza), finalizzati al recupero della fertilità dei suoli devastati dall’alluvione che ha colpito l’Emilia-Romagna nel maggio 2023, sono stati presentati al convegno Dall’impatto delle esondazioni alla bonifica dei suoli alluvionati, tenutosi a Palazzo Sersanti di Imola (Bo). L’evento, patrocinato dai ministeri dell’Agricoltura, dell’Ambiente e dall’Accademia Nazionale di Agricoltura, ha visto la partecipazione dei principali scienziati del suolo italiani che, alla presenza delle istituzioni, hanno illustrato i risultati delle loro ricerche.

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«Con i lavori svolti nei nostri laboratori e campi sperimentali abbiamo aperto una nuova frontiera per il ripristino, la bonifica e il ritorno alla fertilità dei terreni agricoli devastati dall’alluvione» ha dichiarato l’accademico Paolo Manfredi, presidente dell’azienda Ecosistemi.

A seguito dell’alluvione sono stati depositati sui suoli agricoli milioni di metri cubi di sedimenti che, per estensione e quantità, è impossibile asportare. Questi sedimenti, provenienti da fiumi e torrenti romagnoli, sono costituiti da fanghi limosi, molto calcarei, privi di sostanza organica e con pochi elementi nutritivi (il fosforo è praticamente assente). Caratteristiche che rendono questi materiali sostanzialmente inerti e sterili sotto il profilo agronomico. Si tratta di croste estremamente fangose se umide e fortemente tenaci se asciutte che costituiscono uno strato impermeabile che ostacola le lavorazioni meccaniche e l’irrigazione. La sperimentazione condotta a Piacenza da Ecosistemi verrà replicata in Romagna.

Paolo Manfredi
A un anno e mezzo dall’alluvione che ha colpito l’Emilia-Romagna quali sono le stime dei danni sui terreni?

«Sono ancora incerte, è stato effettuato, dove possibile, il ripristino dei terreni con lavorazioni meccaniche, ma restano i suoli marginali ancora coperti da spessi strati di sedimenti. Ciò che al momento non è quantificabile è il danno nel tempo. Le lavorazioni meccaniche eseguite, che hanno consentito una continuità delle attività agricole, hanno risolto solo parzialmente la situazione, ciò è dimostrato dalle minori rese produttive del post alluvione.

I dati analitici dei nostri laboratori evidenziano una serie di problemi, non solo inerenti agli aspetti fisici, ma anche sull’impoverimento chimico dei terreni dai nutrienti, a causa dall’ingente quantitativo accumulato di materiali fini chimicamente inerti e del dilavamento subito dai suoli. Il ripristino delle condizioni originarie richiederà sforzi e competenze non comuni. L’impegno che le aziende agricole romagnole stanno sostenendo è veramente grande».

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Come si presentano i danni e su che estensione?

«I danni sono di diversa natura ed entità. E risulta difficile fornire una stima esatta. Le migliaia di ettari, coinvolti in modo eterogeno, si differenziano a seconda delle tipologie di sedimenti che hanno ricoperto i terreni. Dai danni subiti nella zona collinare e di pianura per giungere alle condizioni di forte salinizzazione e sodicizzazione avvenute nei pressi delle Saline di Cervia, dove ai danni dell’esondazione dei corsi d’acqua e del deposito delle torbide si è aggiunta la diffusione sui terreni di tonnellate di cloruro di sodio (Sale di Cervia) sparso dal fronte invasivo delle acque».

In che modo l’alluvione ha modificato la struttura del terreno?

«Nel maggio del 2023 le intense e concentrate piogge hanno causato l’esondazione dei corsi d’acqua con l’allagamento dei terreni agricoli e il trascinamento su di questi dei sedimenti originati dall’erosione dei versanti collinari. Il deposito delle torbide, in gran parte a granulometria limosa fine, ha coperto i terreni con degli strati massivi, privi di struttura, per uno spessore variabile dai 10 ai 50 cm. Il vasto apporto di questi fanghi, ha comportato la riduzione della permeabilità superficiale, un’elevata crostosità dei suoli, una forte propensione all’erosione e una riduzione della porosità dovuta alla sigillazione dei macropori.

Le condizioni erano tali da non permettere alternative alle lavorazioni meccaniche per la ripresa delle attività, ma hanno portato di fatto al cambiamento della natura dei suoli: divenuti fortemente limosi e, per una sensibile parte, destrutturati e chimicamente impoveriti. La rimozione della smisurata massa fangosa sarebbe stata insostenibile per  i volumi da asportare e per i tempi di esecuzione, con costi difficilmente sostenibili e calcolabili».

Che tipo di intervento avete realizzato?

«Abbiamo sviluppato, a seguito della sperimentazione, una tecnologia che migliora in modo consistente e in tempi relativamente brevi, suoli che – come quelli interessati dall’alluvione in Romagna – possiedono una tessitura limosa con un’elevata frazione di limo fine, debolmente o per nulla strutturati.

Dopo aver approfondito gli aspetti chimico-fisici, per impostare il trattamento ed elaborare una formula di calcolo specifica per la determinazione del fabbisogno della sostanza organica, è stata prima avviata la fase di sperimentazione nei nostri laboratori con prove pilota. Successivamente alla raccolta dei dati delle simulazioni, abbiamo realizzato delle parcelle sperimentali nella nostra azienda agricola a Podenzano (PC) in uno degli appezzamenti con caratteristiche fisiche vicine a quelle in cui versano i suoli romagnoli alluvionati».

E poi?

«È stata quindi prodotta, con un nostro impianto di trattamento chimico-meccanico, una miscela calibrata di matrici organiche con proprietà ammendanti e correttive. Il prodotto ottenuto è stato distribuito in campo con i quantitativi determinati dalla formula su differenti parcelle sperimentali con due dosi differenti e ulteriori tesi di confronto. Dopo la distribuzione del prodotto è stata effettuata una disconatura e il trattamento di ricostituzione in situ nel quale l’azione meccanica di miscelazione, di disgregazione, seguita da una mirata compressione degli aggregati ha consentito la formazione di un terreno con proprietà differenti da quelle originarie».

Quali sono i parametri principali a cui avete fatto riferimento?

«Nella realizzazione della prova sono state attentamente considerate le composizioni delle matrici impiegate per la generazione del prodotto, dosandole in funzione delle loro proprietà. I parametri prettamente chimici considerati sono stati la concentrazione di Carbonio organico, Azoto totale, Fosforo assimilabile, il Potassio e Magnesio scambiabile, Zolfo, Calcare totale e attivo e oligoelementi disponibili mentre quelli riguardanti gli aspetti fisici hanno tenuto presente la distribuzione della sostanza organica amorfa e fibrosa in quanto, sulla base della loro distribuzione all’interno degli aggregati, viene assicurata la stabilità di struttura, la conformazione degli aggregati, la loro porosità ed altri aspetti atti a garantire un’elevata funzionalità agronomica dei suoli».

Che estensione avevano le superfici della prova in campo?

«La superficie sperimentale della prova è stata di cinque ettari suddivisi in quattro parcelle. Due per le prove di ricostituzione, una lavorata solo meccanicamente e un’altra interessata da una lavorazione convenzionale di disconatura e concimazione con digestato bovino».

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Un progetto finanziato?

«No, i fondi impiegati sono stati interamente forniti dalla mia azienda. La sperimentazione è stata concretamente realizzata a novembre 2023, dopo circa due mesi di progettazione, quindi solo dopo novanta giorni dall’evento alluvionale. I tempi burocratici e amministrativi per un eventuale finanziamento avrebbero comportato lunghe attese, sacrificando un’intera annata agraria. Il problema, invece, richiedeva una pronta azione».

Alluvione un anno dopo: più che l’acqua potè la burocrazia

A che punto siamo ora?

«Al convegno tenutosi lo scorso luglio abbiamo presentato i risultati iniziali sul notevole miglioramento fisico e chimico dei terreni sottoposti al trattamento. I primi obbiettivi sono stati raggiunti. lo studio procederà considerando l’evoluzione dei terreni e la produttività agronomica per almeno altri due anni. Stiamo inoltre verificando gli aspetti di tipo meccanico del trattamento per di calibrare al meglio la strutturazione degli aggregati e consentire una più uniforme distribuzione dei prodotti organici».

Come si sono sviluppati gli studi preliminari?

«L’idea di effettuare uno specifico trattamento sui terreni alluvionati romagnoli è nata in seguito al nostro coinvolgimento da parte dell’Accademia Nazionale di Agricoltura, nella figura del suo vicepresidente, il professor Gilmo Vianello, che, per primo, ha concentrato con generosità i propri studi sui danni inflitti dall’alluvione. La nostra partecipazione ai lavori, guidati dall’Accademia insieme alla Facoltà di Agraria dell’Università di Bologna, con la professoressa Livia Vittori Antisari, hanno portato a importanti approfondimenti giunti a uno studio scientifico intitolato: “Negative impact of alluvial sediments on physical properties of agricultural soils affected by flooding in May 2023 in Emilia Romagna Region (Northern Italy)”».

Qualche ulteriore dettaglio sulla sperimentazione…

«Le ricerche mi hanno portato a considerare il rapporto esistente tra il contenuto di limo fine e limo grosso con l’argilla e la sostanza organica nei terreni già descritto dall’indice di crostosità, di permeabilità superficiale e di stabilità della struttura: sulla base di diversi elementi ho rielaborato una formula grazie alla quale viene determinato il fabbisogno di sostanza organica per correggere i terreni limosi dalle loro tipiche problematiche che riducono la resa e la funzionalità agronomica. Questo aspetto, unito ai miei precedenti studi ed esperienze ha consentito di unire il modello teorico con il trattamento, già tecnologicamente consolidato, dei terreni degradati e desertificati.

Il trattamento della ricostituzione agisce sulla strutturazione degli aggregati del suolo e sull’inclusione della sostanza organica. La tecnologia si associa perfettamente con le necessità di bonifica dei terreni alluvionati della Romagna. Dopo diverse prove pilota e analisi abbiamo operato la modifica di alcuni mezzi meccanici finalizzati alla strutturazione dei terreni e, successivamente, è stato allestito il campo sperimentale».

Come si presenta il terreno ora?

«I suoli sottoposti al trattamento di ricostituzione hanno modificato la struttura che, da poliedrica angolare-subangolare, è divenuta granulare e grumosa. Risultano privi di crostosità (foto 1 e 2) con una forte riduzione dell’indice di incrostamento che da un valore molto elevato è divenuto basso (media di 0,85). I terreni possiedono una maggiore stabilità degli aggregati: i suoli originari, con una struttura molto degradata sono passati ad un basso indice di degrado. I ristagni idrici, che prima caratterizzavano i suoli dell’area, non si sono manifestati poiché è stata fortemente ridotta l’impermeabilità superficiale».

1. Incrostamenti sui suoli non interessati dalla ricostituzione (1,2 cm)
alluvione
2. Assenza di incrostamenti sui suoli ricostituiti, si nota solo un lieve rivestimento sugli aggregati di facile fratturazione
Questo in concreto cosa significa?

«Abbiamo osservato un sensibile miglioramento della lavorabilità. I suoli risultano meno tenaci e più soffici. Un effetto del trattamento, che non avevamo considerato all’inizio della sperimentazione è quello relativo alla  maggior rugosità superficiale dei terreni trattati (foto 3 e 4). Un dato importante, se permarrà nel tempo, perché migliorerebbe la  gestione delle risorse idriche e ridurrebbe l’erosione delle acque sui suoli. Vi sono inoltre dei miglioramenti riguardanti la ritenzione idrica, la porosità all’aria e una più idonea capacità termica».

3. Superficie dei suoli non sottoposti al trattamento, superfici molto lisce che comportano una maggiore erosività delle acque di pioggia
4. Superficie dei suoli ricostituiti
Che composizione ha ora il terreno oggetto di sperimentazione?

«Relativamente alle proprietà chimiche abbiamo incrementato la dotazione di sostanza organica portandola a una concentrazione molto buona. Abbiamo aumentato anche il calcare totale: da scarsamente calcarei a mediamente dotati (moderatamente calcarei); l’azoto totale è stato incrementato rendendone il terreno da mediamente dotato a ricco; il rapporto carbonio azoto ha subito un forte incremento che, se in una fase iniziale comporterà l’immobilizzazione di parte dell’azoto, favorirà l’umificazione e quindi la stabilizzazione della sostanza organica. Il fosforo disponibile è lievemente aumentato, dalla dotazione iniziale media a una condizione buona».

Parametri Suolo originario Suolo ricostituito Tesi 1 Suolo ricostituito Tesi 2
Valori medi Valori medi Valori medi
Reazione pH 6,5 7,5 7,5
Conducibilità elettrica – Salinità dS/m (EPS) 0,66 0,7 0,8
Calcare totale g/kg 8,02 59,8 44,1
Carbonio organico g/kg (%) 9,2 (0,92%) 41,5 (4,15%) 37,5 (3,75%)
Azoto totale g/kg 1,31 2,8 2,4
Rapporto C/N 7 14,8 15,6
Fosforo disponibile OlsenP mg/kg (P) 17,8 22,4 19
Capacità di scambio cationico cmol+/Kg 24,3 25,5 24,3
Potassio scambiabile K+ cmol+/Kg 0,17 0,16 0,19
Magnesio scambiabile Mg++ cmol+/Kg 1,82 1,5 1,73
Indice di crostosità 2,12 0,82 0,88
Indice di stabilità di struttura 1,7 7,98 7,21
Ci parli delle attrezzature che usa nel suo laboratorio

«Il laboratorio, attivo da più di venticinque anni, nel corso del tempo ha potuto strutturarsi al meglio nel settore della chimica, fisica e biologia del suolo. Siamo dotati di strumentazioni difficilmente reperibili nei laboratori di analisi dei terreni in quanto, dovendo la nostra attività considerare in profondità molteplici aspetti, operiamo anche su parametri che pur essendo fondamentali per lo studio e la valutazione del terreno, sono generalmente piuttosto trascurati, nel settore della ricerca e nel mercato analitico.

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Abbiamo strumentazioni dedicate all’analisi fisica e chimica dei suoli con due locali interamente dedicati al settore della pedotecnologia: una disciplina specificamente dedicata allo sviluppo di tecniche volte al miglioramento delle proprietà dei suoli e a contrastare il degrado e la desertificazione dei terreni».

Come è strutturato il suo gruppo di lavoro?

«È composto da agronomi, chimici, biologi e specialisti che operano nei laboratori di analisi, di ricerca e nella nostra azienda agricola, dove realizziamo gran parte delle prove sperimentali. Siamo dotati del settore operativo con nostri cantieri impegnati nella realizzazione delle opere di ripristino agronomico e agro-forestale. Per ogni progetto vengono scelte le persone più idonee sulla base delle loro competenze, alcuni di essi collaborano alla stesura delle pubblicazioni scientifiche per diffondere e confrontare la nostra attività con la comunità accademica e di ricerca: è dai nostri interventi, dalla partecipazione ai convegni e con la pubblicazione dei nostri studi che nascono nuove collaborazioni e progetti».

Quali sono i prossimi obiettivi?

«Riguardo alle sperimentazioni di cui abbiamo parlato si prefigurano ulteriori prove. Il trattamento della ricostituzione dei suoli alluvionati ci permette lo sviluppo di una tecnologia interamente dedicata al miglioramento dei suoli limosi con la possibilità concreta di risolvere criticità sino ad oggi non risolte anche al di fuori del contesto dei terreni romagnoli. Altre prospettive future sono rivolte su diversi fronti in gran parte indirizzati al ripristino agronomico dei terreni degradati, alla lavorazione dei terreni in risposta a specifiche necessità produttive e a sviluppare in modo più radicato la diagnostica analitica dei suoli finalizzata alla produzione agraria.

Uno degli obiettivi a cui teniamo particolarmente è di poter essere un punto di riferimento internazionale nel settore della pedologia applicata al fine di raccogliere sempre più collaborazioni e scambi in questo comparto che sarà sempre più importante per la tutela del suolo e della sua prosperità produttiva».





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