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Un “Vertice del Futuro” per salvare l’Onu e l’Occidente #adessonews

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L’Occidente è fuori moda. Si sente spesso, non è così? Come se fosse un destino inesorabile a cui siamo ormai condannati. “La guerra di Gaza sta oscurando quella in Ucraina”, “il doppio standard occidentale li rovinerà”. Queste frasi sono all’ordine del giorno, si sentono riecheggiare nei lunghi corridoi del palazzo di vetro di New York, sede delle Nazioni Unite. L’Onu si sta oggi preparando ad accogliere i leader mondiali. L’occasione è il “Vertice del Futuro”, l’incontro, previsto per la prossima settimana, che cercherà di dare nuova linfa vitale ad un’organizzazione ormai paralizzata e incapace di assolvere il compito per cui venne fondata nel 1945: il mantenimento della pace e della sicurezza nel mondo.

L’Onu e le sue istituzioni, l’Assemblea Generale prima fra tutte, sono forse il miglior consesso per intercettare le opinioni e i trend globali, per comprendere i mutamenti della comunità internazionale. Ed oggi, purtroppo, l’indicazione è chiara: il mondo guarda ad “est”, l’Occidente ha perso la sua credibilità. Non sarà forse questa ipocrisia di sottofondo, questo “doppio standard” impiegato per parlare prima di Ucraina e poi di Gaza a screditare la capacità d’azione del blocco occidentale? Giorni fa, una risoluzione proposta dalla Palestina, osservatore non-membro delle Nazioni Unite, è stata adottata dall’Assemblea Generale con un successo schiacciante: 124 voti a favore (non solo Russia e Cina ma anche Francia e Giappone), solo 14 contrari e 43 astenuti. La risoluzione chiede ad Israele di ritirarsi da tutto lo spazio aereo, terrestre e marittimo palestinese, di smantellare gli insediamenti ebraici in Cisgiordania, illegali per il diritto internazionale, di restituire le proprietà confiscate e di pagare un risarcimento. Il tutto entro un anno. Insomma, nulla di vincolante è chiaro, ma è un documento dall’alto valore simbolico che arriva dopo i tre veti apposti dagli Stati Uniti alle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza, l’organo operativo dell’organizzazione che può emanare decisioni vincolanti, sulla cessazione dei combattimenti nella Striscia. Ciò non fa che allontanare gli altri partner internazionali che un tempo sostenevano il blocco Nato contro la Russia dello Zar Putin in Ucraina. Il ragionamento è semplice: perché Kiev sì e Gaza no?

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Prima l’Ucraina godeva di un ampio sostegno all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Non c’era dubbio, la Russia aveva violato un principio cardine della Carta Onu, accettato come norma cogente di diritto internazionale generale: il divieto dell’uso della forza nelle relazioni internazionali. L’invasione armata è dunque da considerarsi un atto internazionalmente illecito. Eppure, sembrerà assurdo, oggi il sostegno incondizionato a Kiev comincia a vacillare. Anzi, la narrazione russa secondo cui la guerra sarebbe stata provocata da un’eccessiva espansione della Nato ad est (anche se fosse? Invadere e cercare di prendersi con la forza uno Stato sovrano e indipendente rimane pur sempre un illecito) avrebbe trovato ascolto negli ambienti diplomatici del Sud globale. Le memorie del cieco imperialismo americano dei primi anni 2000 sono ancora fresche. L’invasione dell’Iraq nel 2003, la teorizzazione della legittima difesa preventiva,  i neo-conservatori americani che pretendevano di esportare la democrazia nel mondo, con le armi e con la forza, oggi tutto questo si sta ripresentando all’Occidente come un conto salato. L’anti-americanismo è diffuso, soprattutto ora che Washington e il suo blocco (ci siamo anche noi) sono accusati di un duplice atteggiamento nei confronti di Kiev e delle vittime a Gaza.

Il risultato? Oggi, diversi diplomatici occidentali invitano l’Ucraina a non presentare risoluzioni all’Assemblea Generale dell’Onu, almeno per il momento. Il timore è che possano rivelarsi un forfait e smascherino un malcontento diffuso nella comunità internazionale sulla questione, soprattutto dopo il successo della risoluzione palestinese appena approvata.

La guerra a Gaza sta accelerando il più ampio riallineamento di forze globali dai tempi del dopoguerra. Mentre l’America rincorre disperata la sua supremazia perduta, la Russia non vuol far altro che sconquassare l’ordine mondiale. Vladimir Putin, con un mandato d’arresto pendente della Corte Penale Internazionale, sta cercando di “ripulirsi” dall’onta della vergogna dopo aver invaso un Paese sovrano e indipendente nel cuore dell’Europa. Si fa dipingere come un paladino della lotta palestinese, quando un tempo andava a braccetto con Benjamin Netanyahu. Tuttavia, la verità la stabiliscono i fatti e i fatti dimostrano che la Russia ha contribuito ad allontanare le forze di pace Onu dal Mali, ha bloccato la fornitura di aiuti umanitari delle Nazioni Unite nelle aeree della Siria controllate dai ribelli ed ha ostacolato il lavoro di una commissione che controlla il rispetto delle sanzioni Onu da parte della Corea del Nord, solo per fare alcuni esempi. Mosca sta giocando sporco, sabotando l’azione delle Nazioni Unite laddove potrebbe giovare alle comunità locali. Ma mentre la stabilità è da rifuggire, il Cremlino è nell’instabilità che intravede un’opportunità da cogliere, un vuoto da colmare. Dall’altra parte, il Paese più popoloso al mondo, la multi-allineata India, si è sempre tirata indietro dal sanzionare la Russia. D’altronde, triangolando gli affari tra Mosca e il blocco occidentale, Nuova Delhi ci ha guadagnato non poco.

E poi c’è  il deus ex machina degli equilibri mondiali. Il dragone è più discreto che mai, rimane in agguato. La Cina gioca le sue carte con cura. Sta cercando di plasmare un ordine mondiale a sua immagine e somiglianza. All’Onu, Pechino si erge a difensore della sovranità statale contro le intromissioni esterne. Reinterpreta i diritti umani come aspettative per uno sviluppo economico piuttosto che come libertà individuali (la libertà, figuriamoci, non è neanche presa in considerazione), e la democrazia come un valore esterno, ovvero l’uguaglianza tra Stati, piuttosto che come diritto di un popolo a scegliere i propri leader. Eppure, questo modello affascina. Una recente indagine condotta dall’iseas-Yusof Institute di Singapore ha registrato per la prima volta una maggioranza di persone che, provenienti da diversi Paesi del sud-est asiatico, alla domanda su quale Paese sceglierebbero Stati Uniti o Cina, si schiererebbero con Pechino, senza sé e senza ma.

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All’interno dell’Onu, il miglior rilevatore dei tempi che cambiano, le alleanze si stanno riplasmando mentre le “sfide che dobbiamo affrontare si muovono molto più velocemente della capacità dell’organizzazione di risolverle”, avverte il Segretario Generale Guterres. L’organizzazione delle Nazioni Unite venne istituita nel 1945 riflettendo quelli che erano gli equilibri del tempo. Tuttavia, oggi questi equilibri sono saltati. Il Consiglio di Sicurezza, il braccio armato dell’organizzazione, è bloccato in una “spirale temporale”, tenuto in ostaggio dai veti incrociati dei cinque membri permanenti (i cosiddetti P5: Francia, Stati Uniti, Russia, Inghilterra, Cina), ma non c’è un seggio permanente per il Paese più popoloso al mondo, l’India. Non uno per il Giappone, né per la Germania. L’Italia? Figuriamoci. Il diritto di veto sta paralizzando il Consiglio da vent’anni. Solo dall’inizio del 2020, la Russia se ne è servita per ben 13 volte, l’America per sei e la Cina per cinque. Come potrebbe mai essere operativo un organismo così congegnato? La soluzione sarebbe quella di ridurne l’utilizzo. Ma i P5 sarebbero disposti a condividere il loro potere e a rinunciare al veto?

Ad ogni modo, per uscire da tale impasse, istituzioni internazionali alternative stanno emergendo . Il gruppo dei Brics+, ad esempio, dominato da Mosca e Pechino e allargatosi recentemente a nove nuovi Paesi, rappresenta il 37% del Pil mondiale. I suoi membri aspirano a sganciarsi dal dollaro americano e dal sistema di pagamenti occidentale. La Shanghai Cooperation Organization, dall’altra parte, fondata da Cina e Russia e il cui simbolo ricorda tristemente la bandiera delle Nazioni Unite, è oggi la più grande organizzazione regionale al mondo rappresentando il 32% del Pil e il 40% della popolazione mondiale. Il G7? Basta dire che la sua quota sul Pil mondiale si è ridotta dal 67% del 1994 al 44% del 2022 per ammettere che nel mondo, ahimè, stiamo perdendo terreno.

Ma non disperiamo, il nostro tenore di vita rimane comunque il migliore. Le nostre democrazie, seppur acciaccate, rappresentano un faro per quei popoli  che ancora oggi vivono sotto l’autorità di un governo autoritario. La libertà, quella che i nostri nonni hanno conquistato duramente, è il nostro valore, la nostra battaglia. Solo così, insieme ad un pizzico di ipocrisia in meno, l’Occidente potrà salvarsi e, forse, continuare ad ispirare il mondo.

L’articolo Un “Vertice del Futuro” per salvare l’Onu e l’Occidente proviene da Fortune Italia.



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