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L’incidente di Brandizzo, verificatosi nella notte tra il 30 e il 31 agosto 2023, ha scosso profondamente l’opinione pubblica e il mondo del lavoro. Cinque operai sono tragicamente deceduti mentre lavoravano sui binari ferroviari, a causa di una serie di falle nel sistema di sicurezza. Per analizzare l’accaduto e proporre miglioramenti, la Commissione parlamentare di inchiesta sulle condizioni di lavoro in Italia ha prodotto una relazione sull’incidente. In quest’analisi dall’approccio critico, vediamo cosa manca nel Rapporto sulla strage di Brandizzo.

Le commissioni parlamentari hanno lo scopo di indagare su questioni di interesse nazionale, fornendo un quadro chiaro delle problematiche e avanzando proposte concrete per risolverle. In questo caso specifico, la Commissione aveva l’obiettivo di approfondire le dinamiche che hanno portato alla tragedia di Brandizzo e di individuare soluzioni per prevenire futuri incidenti sul lavoro. Tuttavia, il documento prodotto sembra mancare di diversi elementi essenziali, perché il suo lavoro possa essere realmente efficace.

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Nel rapporto sulla strage di Brandizzo c’è un grande assente: il fatto

Uno degli aspetti più problematici di questo rapporto sulla strage di Brandizzo è la mancanza di una ricostruzione chiara e approfondita dell’incidente. Il documento non offre un’analisi dettagliata delle cause specifiche che hanno provocato la morte dei cinque operai, né entra nel merito delle dinamiche precise, dei fattori concatenanti o degli errori che hanno portato alla tragedia. In un testo che dovrebbe servire a migliorare la sicurezza, l’assenza di una narrazione accurata del fatto indebolisce tutto il ragionamento successivo. Questo è ancora più sorprendente considerando che le commissioni parlamentari d’inchiesta dispongono di poteri molto simili a quelli dell’autorità giudiziaria, sebbene con limiti precisi: il loro compito non è giudicare, ma raccogliere informazioni utili per le funzioni legislative del Parlamento.

Magari si tratta di una omissione voluta, per evitare sovrapposizioni con la Magistratura, ma ha comunque un impatto diretto sulla qualità delle conclusioni a cui la Commissione arriva. Senza una chiara comprensione – e spiegazione – di cosa sia andato storto, qualsiasi proposta di miglioramento risulta vaga e approssimativa. Il riconoscimento dei sistemi che hanno ceduto e dei meccanismi che non hanno funzionato è fondamentale per comprendere e spiegare cosa si sarebbe potuto fare per prevenire l’incidente e cosa sia necessario cambiare per evitare che si ripeta in futuro.

Il comportamento umano è una causa sottostante, non principale

Un altro punto debole della relazione è la mancata aderenza ai processi e alle terminologie consolidate nel campo della salute e sicurezza. Un esempio evidente è l’affermazione che attribuisce al comportamento umano la causa principale dell’incidente. Le teorie sugli incidenti, riconosciute a livello internazionale, chiariscono che il comportamento umano è spesso una causa sottostante, ma raramente rappresenta la causa primaria o, meglio, la causa radice, di eventi catastrofici.

Fare del comportamento pericoloso il punto centrale dell’analisi è un errore, perché focalizzarsi sulla mancanza di attenzione o sugli errori dei lavoratori distoglie l’attenzione dalle vere cause del problema. Questo approccio non permette di individuare soluzioni efficaci e durature, poiché ignora i fattori organizzativi, tecnici e sistemici che spesso sono alla base degli incidenti. Limitarsi a considerare il comportamento umano come principale responsabile, significa trascurare le cause profonde, che richiedono interventi su più livelli, sia tecnici che organizzativi. Inoltre, parlare di miglioramenti senza collegarli in maniera evidente ai problemi concreti nei processi è inutile, perché le vere soluzioni nascono dall’individuazione delle falle nei sistemi e nell’organizzazione, non dalla semplice attribuzione di colpe ai lavoratori.

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La cultura della sicurezza si costruisce con i fatti

Il concetto di “cultura della sicurezza” viene richiamato più volte nel documento, ma è trattato in modo generico e, per certi versi, superficiale. Esistono approcci consolidati da decenni per affrontare questo tema, e sarebbe opportuno seguire questi principi, perché un’analisi basata su di essi consentirebbe di sviluppare proposte più concrete ed efficaci, mentre parlare di cultura della sicurezza senza far riferimento agli standard consolidati rischia di produrre discussioni prive di reale sostanza e impatto. Inoltre, parlare di “cultura della sicurezza” in termini generici, senza proporre strumenti concreti per la sua implementazione, risulta poco utile. La cultura della sicurezza non si costruisce con parole, ma con fatti: formazione continua, coinvolgimento attivo, sorveglianza, aggiornamento delle procedure e adozione di tecnologie avanzate.

Rapporto sulla strage di Brandizzo: non si dà il giusto rilievo alla partecipazione dal basso alla valutazione dei rischi

Anche la partecipazione dal basso alla valutazione dei rischi, richiamata dal documento, è in realtà già una prassi consolidata in molti paesi e ambiti lavorativi, con l’uso di strumenti come le Job Safety Analysis (JSA) e i Risk Assessment Method Statements (RAMS), fondamentali per identificare i rischi sul campo e coinvolgere attivamente i lavoratori nel processo di prevenzione. Invece, la relazione si conclude con generiche proposte di modifica ad articoli legislativi (ad esempio, l’art. 26 e l’art. 100 del D.Lgs. 81/2008) e con vaghe “proposte di miglioramento in generale”. Tuttavia, modificare solo la normativa senza un piano di implementazione concreto e senza identificare chiaramente le falle che hanno portato all’incidente non porterà risultati tangibili.

Un confronto con il rapporto sull’incendio della Greenfell Tower

Per comprendere quanto sia importante partire dalla ricostruzione dei fatti in un documento di questo tipo, è possibile fare un rapido confronto con il rapporto recentemente pubblicato sull’incendio della Grenfell Tower a Londra (analizzato su Teknoring dall’esperto antincendio in questo articolo). In quel caso, il report ha dimostrato una chiara volontà di individuare responsabilità precise, coinvolgendo tutti gli attori, dalle aziende ai pubblici amministratori. L’indagine ha approfondito le cause strutturali dell’incidente, identificando gli errori commessi da chi aveva il compito di garantire la sicurezza, dai progettisti fino ai regolatori. Le conclusioni hanno puntato il dito su specifiche responsabilità e proposto soluzioni concrete per correggere le mancanze, con l’obiettivo di evitare che simili tragedie possano ripetersi.

Al contrario, il documento sull’incidente di Brandizzo manca di un’analisi altrettanto chiara e approfondita delle responsabilità. Non vengono individuati con precisione i fallimenti organizzativi e strutturali che hanno contribuito alla tragedia. L’enfasi sembra ricadere maggiormente su cause generiche, come il comportamento dei lavoratori, senza che venga esaminata in profondità la catena delle decisioni che ha portato all’incidente. Le proposte di miglioramento, pur valide, risultano vaghe e non sufficientemente ancorate a problemi concreti o a responsabilità specifiche, riducendo così l’impatto del documento in termini di accountability, ovvero la responsabilità e la trasparenza che si ha nei confronti degli elettori e delle istituzioni democratiche, quando si ricopre un ruolo pubblico.

Il rapporto sulla strage di Brandizzo è un documento deludente

In conclusione, questo documento risulta piuttosto deludente. La mancanza di un’analisi chiara e dettagliata dell’incidente impedisce di individuare con precisione le cause strutturali e organizzative che lo hanno provocato. Sebbene le proposte avanzate siano valide in sé, risultano tuttavia generiche e prive di quel livello di dettaglio indispensabile per affrontare in modo efficace il problema della sicurezza sul lavoro in Italia o, al limite, proporre efficaci azioni correttive per scongiurare il ripetersi di altri incidenti di questo tipo.

L’atteggiamento cauto e generico degli estensori del documento di Brandizzo, in realtà, potrebbe riflettere una situazione più ampia legata alla cultura della sicurezza nel nostro paese. A differenza di altre nazioni, in Italia sembra mancare un’effettiva adozione di regole condivise e di una visione uniforme sulla sicurezza sul lavoro, specialmente riguardo a metodologie strutturate come la Root Cause Analysis (RCA).

La RCA è una metodologia riconosciuta a livello internazionale per indagare a fondo le cause di un incidente, individuando non solo quelle immediate, ma anche le più profonde, spesso di natura organizzativa e sistemica. Tuttavia, se questo approccio non è diffuso o condiviso tra istituzioni e imprese, l’analisi degli incidenti tende a rimanere superficiale, con aspettative di approfondimento generalmente più basse. Di conseguenza, le responsabilità vengono attribuite principalmente a fattori immediati, come il comportamento umano, senza che si esplorino in modo adeguato le falle strutturali del sistema che spesso sono alla base degli incidenti.

La sicurezza è una materia consolidata con un approccio di metodo

La sicurezza è una materia consolidata, con regole e metodologie ben definite. Chiunque si occupi di questo tema, a maggior ragione a livello parlamentare, dovrebbe avere piena conoscenza delle regole per discuterne. Soffermarsi su spiegazioni immediate non serve a nulla, e si tratta di un approccio che sembra quasi voler evitare conflitti o accuse troppo pesanti, lasciando le responsabilità in secondo piano. Parlare di cultura della sicurezza in termini astratti può inizialmente essere motivante, creando l’illusione di un cambiamento imminente, ma col tempo, quando ci si rende conto che mancano risultati concreti, questo approccio rischia di diventare frustrante (se non lo è già).

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Le soluzioni possono nascere solo dalla conoscenza della materia sicurezza e dall’adozione di misure concrete

Il vero cambiamento, infatti, parte dalla conoscenza del sistema, dal riconoscimento delle sue falle e dall’adozione di misure concrete per correggerle, non dal limitarsi a discorsi generici che, senza azioni reali, non portano alcun progresso significativo.



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