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Due trust fittizi alle Bahamas, donazioni false di gioielli e preziosi per 170 milioni, una complessa strategia architettata per “rendere più pingue” il già cospicuo patrimonio di Marella Caracciolo e, possibilmente, sfuggire alle maglie del fisco italiano e alle pretese della figlia Margherita. Questo raccontano le cento pagine del decreto con cui il gip del tribunale di Torino Antonio Borretta ha disposto il maxi-sequestro di 74,8 milioni di euro nell’ambito dell’inchiesta che ruota intorno all’eredità di Gianni Agnelli. Una costruzione faraonica che per quasi dieci anni, secondo l’accusa, ha richiesto l’impegno, in Italia e all’estero, di un piccolo esercito di familiari, avvocati, commercialisti, segretarie e collaboratori domestici. Tutti uniti per il perseguimento di un unico obiettivo: fingere che Marella risiedesse stabilmente in Svizzera anziché a Torino, così da tutelare la validità del testamento – redatto secondo il diritto elvetico – in cui escludeva Margherita dalla successione indicando come unici eredi i tre nipoti John, Lapo e Ginevra.
A puntellare questa impalcatura, secondo i pm, contribuì anche la pubblicazione di un libro, “Ho coltivato il mio giardino” (titolo inglese The last swan) uscito nel 2014 per i tipi di Adelphi. L’accusa ipotizza che l’opera, una excursus sui “luoghi del cuore” dell’anziana donna, sia stata ispirata da John Elkann e fosse “funzionale” al progetto di rafforzare l’idea della residenza fittizia. Per questo, si legge nel decreto del gip, si arrivò “addirittura a modificare il testo originale” con correzioni e aggiunte: occorreva spiegare e sottolineare che Marella, lasciata St. Moritz perché “l’alta quota non si addiceva più alla sua salute”, aveva trovato casa a Leunen, vicino a Gstaad, “in una bellissima zona dove vivono molti dei suoi amici”. Tra gli altri accorgimenti, scrivono i pm, si rese necessario “assumere una persona che lavorasse part-time per superare l’impressione che la casa fosse sempre vuota“.
Sono stati parecchi, secondo pm e guardia di finanza, gli escamotage ideati per nascondere al fisco italiano le sostanze di Marella. Uno è la “creazione di trust fittizi” a Nassau, nelle Bahamas, chiamati “The providenza settlement” e “The providenza II settlement”, dove furono conferiti i beni ereditati alla morte del marito Gianni Agnelli (si parla di ottocento milioni trasformati in quote di un fondo lussemburghese). Al decesso della donna, nel febbraio del 2019, il tutto passò ai nipoti, accusati di aver aggirato la tassa di successione su una quantità di opere d’arte e di gioielli “facendoli figurare falsamente come donazioni mentre era ancora in vita”. Un indizio è un documento redatto il 10 settembre 2019 preparato, secondo la Procura, per associare ad ogni “regalo” una ricorrenza: anniversari, compleanni, nascite di figli, in quella che viene definita una “spartizione post mortem“. Il pezzo più pregiato della collezione è un un paio di orecchini con diamanti da 78 milioni di euro che risulta donato da Marella alla nipote Ginevra.
Ma i difensori di John, Lapo e Ginevra Elkann, mentre preparano il ricorso al Riesame, contrattaccano: “A fronte dello stillicidio di documenti che dovrebbero essere discussi nelle aule giudiziarie, e che vengono invece diffusi in modi che non consentono alcun giusto contraddittorio, rinnoviamo la ferma convinzione di poter dimostrare l’estraneità alle accuse dei nostri assistiti. Ribadiamo che il sequestro è ingiustificato: i fratelli Elkann hanno sempre assolto i loro oneri fiscali, e i loro beni sono alla luce del sole”.
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