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Da rurale a civile abitazione: oneri di urbanizzazione sì o no? #adessonews

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Il Consiglio di Stato spiega quando non è possibile applicare il D.L. 557/1993 per il cambio di destinazione d’uso senza oneri di urbanizzazione da rurale a civile abitazione

Il passaggio da un fabbricato rurale ad abitazione civile è un tema complesso che coinvolge diverse normative urbanistiche e catastali. In particolare, la normativa italiana prevede che i fabbricati classificati come rurali possano essere oggetto di trasformazione in abitazioni civili, ma solo a condizione che vengano soddisfatti determinati requisiti legali e procedurali. Tra questi, vi è la necessità di ottenere un’autorizzazione comunale e di rispettare le disposizioni relative agli oneri per il cambio di destinazione d’uso.

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Il D.L. 557/1993 e le agevolazioni per i fabbricati che non presentano più le condizioni di ruralità

La questione diventa ancora più intricata quando si considerano le agevolazioni fiscali previste per le variazioni catastali dei fabbricati già rurali, come stabilito dall’articolo 9, comma 9, del decreto legge n. 557/1993. Questa norma è stata concepita per facilitare il censimento e la regolarizzazione dei fabbricati rurali, esentando da alcuni oneri quelli che non presentano più i requisiti di ruralità. Tuttavia, l’applicazione di tali disposizioni richiede una rigorosa interpretazione della normativa e una chiara documentazione delle variazioni avvenute nel tempo. Pertanto, il passaggio da rurale a civile non è un processo automatico, ma richiede un’attenta valutazione delle circostanze specifiche di ciascun caso e delle normative applicabili senza escludere l’utilizzo di una piattaforma cloud per facilitare la gestione di questa pratica edilizia.

La questione è affrontata da una recente sentenza del Consiglio di Stato: la n. 7155/2024.

Come si fa a provare la non “ruralità” di un fabbricato al fine di evitare il contributo di urbanizzazione per il passaggio da rurale a civile abitazione?

La proprietaria di un immobile, che comprendeva terreni agricoli e un fabbricato ad uso residenziale, presentava nel 2012 una Segnalazione Certificata di Inizio Attività (SCIA) per la ristrutturazione interna del fabbricato. In risposta, il Comune le richiedeva, tramite una nota, di integrare la documentazione e contestualmente sollevava dubbi riguardo alla congruità degli oneri versati, in particolare per quanto concerne il cambio di destinazione d’uso del fabbricato da rurale a urbano.

La signora contestava la necessità di tali oneri, richiamando l’articolo 9, comma 9, del decreto legge n. 557/1993, poiché il fabbricato aveva perso le caratteristiche di ruralità attraverso la variazione catastale richiesta e che sarebbe avvenuta dopo la presentazione dell’istanza di condono nel 1996.

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Successivamente, il Comune emetteva ulteriori note, insistendo sul pagamento degli oneri richiesti, aumentati da una sanzione per ritardato pagamento. Di fronte a queste richieste, la signora presentava un ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) chiedendo l’annullamento delle note comunali e l’accertamento negativo del credito vantato dal Comune nei suoi confronti. Il TAR respingeva il ricorso della signora. Quest’ultima proponeva quindi appello contro tale decisione.

Nel dettaglio, le motivazioni a difesa della ricorrente possono essere così schematizzate:

  • Applicabilità dell’art. 9, comma 9, del D.L. n. 557/1993
    La ricorrente sosteneva che, secondo quanto stabilito dall’articolo 9, comma 9, del decreto legge n. 557/1993, non sarebbero stati applicabili gli oneri per il cambio di destinazione d’uso per i fabbricati già rurali che non soddisfano più i requisiti di ruralità. Essa affermava che il cambio di destinazione d’uso del suo fabbricato risaliva al rilascio della concessione in sanatoria (tramite la legge n. 47/1985 c.d. “primo condono”) avvenuta nel 2000, richiesta dal padre (agricoltore in pensione) nel 1996, e che pertanto non avrebbe dovuto essere soggetta a tali oneri.
  • Sanatoria e variazione catastale
    La signora argomentava che la pratica di sanatoria presentata dal padre si riferiva ad un “fabbricato rurale” e che la variazione catastale (in civile abitazione) effettuata nel 1996 riguardava (in verità e come accertato in sede di giudizio) solo una parte dell’immobile (il secondo piano), escludendo i piani inferiori dove si trovava la nuova unità immobiliare oggetto della SCIA. La ricorrente sosteneva quindi che il Comune non aveva tenuto conto della situazione complessiva dell’immobile e delle sue caratteristiche.
  • Mancanza di prove documentali
    La ricorrente contestava la decisione del TAR secondo cui la variazione catastale non era stata adeguatamente documentata per il primo piano e il pianterreno dell’immobile. Essa sottolineava che la documentazione presentata dimostrava che l’immobile era stato accatastato come civile abitazione nel 1996, e quindi avrebbe perso la sua natura rurale.

CdS: il D.L. 557/1993 non esenta le opere abusive dal pagamento degli oneri di urbanizzazione

Il Consiglio di Stato ha esaminato le singole motivazioni a difesa della signora e ha risposto come segue:

  • Violazione dell’articolo 9, comma 9, del D.L. n. 557/1993
    La ricorrente sostiene che il cambio di destinazione d’uso dell’intero fabbricato dovrebbe risalire alla concessione in sanatoria del 2000. Tuttavia, il Consiglio di Stato ha ribadito che la pratica di sanatoria si riferiva ad un “fabbricato rurale” e che tale classificazione rende inapplicabile l’articolo 9, comma 9, del D.L. n. 557/1993. Il Collegio ha sottolineato che la norma è finalizzata a concedere agevolazioni per variazioni catastali e non modifica i presupposti per l’assentimento del condono edilizio. Insomma, la pratica di condono non ha di certo cambiato lo stato di immobile rurale.
  • Documentazione sulle variazioni catastali
    Oltretutto, il Collegio ha osservato che la variazione catastale del 1996 riguardava solo il secondo piano del fabbricato e non era stata fornita alcuna prova documentale riguardo al primo piano e al pianterreno interessati dai lavori per il cambio di destinazione. Questo deficit probatorio impedisce di considerare legittimo il cambio di destinazione d’uso.
  • Interpretazione della normativa
    Il Consiglio di Stato ha chiarito che l’articolo 9, comma 9, non esenta dagli oneri le opere abusivamente realizzate e non determina automaticamente il cambio di destinazione d’uso. La norma è intesa a regolare le variazioni catastali senza modificare le condizioni necessarie per ottenere un condono edilizio.
  • Contraddizioni nella tesi della ricorrente
    Il Collegio ha evidenziato contraddizioni nelle affermazioni della ricorrente riguardo alla perdita della natura rurale dell’immobile nel 1996. Se l’ultimo titolo edilizio era relativo a un “fabbricato rurale”, non era coerente sostenere che l’immobile avesse perso tale vocazione.
  • Obbligo di pagamento degli oneri
    Infine, il Consiglio di Stato ha confermato l’obbligo della signora di corrispondere gli oneri richiesti dal Comune per la deruralizzazione dell’immobile, in quanto non era stata dimostrata l’esenzione prevista dalla normativa.

N.d.r. In sintesi, possiamo dire che la prova della perdita della ruralità di un fabbricato richiede un approccio sistematico che combina documentazione catastale, autorizzazioni comunali e prove di utilizzo effettivo come abitazione civile. La corretta gestione di questi aspetti è cruciale per ottenere il riconoscimento della nuova destinazione d’uso e per evitare contestazioni future da parte delle autorità competenti.

Il Consiglio di Stato ha, quindi, respinto l’appello della ricorrente confermando la legittimità delle richieste comunali e la validità della sentenza del TAR.

 

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