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Il Consiglio di Stato, nella sentenza n. 7155 del 16 agosto 2024, interviene sul tema delle variazioni catastali e il cambio di destinazione d’uso, ai fini dell’agevolazione prevista dall’art. 9, comma 9, del decreto-legge n. 557 del 1993 per i fabbricati che perdono i requisiti di ruralità, stabilendo che detta agevolazione non può modificare i presupposti in base ai quali è consentito il condono. In sostanza, la concessione in sanatoria non può essere interpretata come un cambio automatico di destinazione d’uso.
Requisiti di ruralità: il caso
Il caso trattato riguarda il ricorso con cui la proprietaria di un compendio immobiliare composto da terreni agricoli e fabbricati, di cui uno a uso residenziale, chiedeva l’annullamento del provvedimento del Comune che intimava la corresponsione degli oneri dovuti per il cambio di destinazione d’uso del fabbricato da rurale a urbano, in seguito alla presentazione di una segnalazione certificata di inizio di attività inerente alla ristrutturazione mediante modifiche interne del predetto fabbricato residenziale, e alla realizzazione di una piscina.
Il Tar aveva respinto il ricorso ma la proprietaria aveva proposto appello, sostenendo che in base all’art. 9, comma 9, del decreto-legge n. 557/1993, il cambio di destinazione d’uso dell’intero fabbricato dovrebbe farsi risalire al rilascio della concessione in sanatoria, chiesta nel vigore della legge n. 47/1985.
Il Consiglio di Stato ha ritenuto infondato il motivo del ricorso, in quanto la pratica di sanatoria si riferiva espressamente a un “fabbricato rurale” ed era stata presentata da un soggetto qualificatosi come “imprenditore agricolo”, seppure in pensione. La persistente natura rurale del fabbricato oggetto della domanda di sanatoria rende di per sé inapplicabile la previsione dell’art. 9 citato.
La ratio dell’art. 9, comma 9, del decreto-legge n. 557 del 1993 – afferma la sentenza citando la giurisprudenza del Consiglio Stato (Sez. VII, 29.3.2023, n. 3278) – è quella di concedere agevolazioni correlate alle variazioni catastali, trattandosi di normativa che riguarda l’attuazione del censimento dei fabbricati rurali, mentre non può essere letta come finalizzata a modificare la disciplina dei presupposti e delle condizioni in base ai quali è possibile l’assentimento del condono per opere abusivamente realizzate.
Il dispositivo
L’invocata “perdita dei requisiti di ruralità” non determina l’automatico effetto del cambio di destinazione d’uso né può ritenersi sufficiente ai fini dell’utilizzo di un immobile come abitazione, in quanto per poter qualificare un edificio nei predetti termini occorrerebbe procedere anteriormente, previa autorizzazione comunale, alla modifica della destinazione, da rurale a residenziale. La norma, cioè, non rende esente dagli oneri l’assentimento del condono per opere abusivamente realizzate, riferendosi viceversa la disposta esenzione a eventuali ulteriori oneri dovuti, pur in assenza di opere, in conseguenza delle “variazioni” nell’iscrizione catastale dei fabbricati già rurali.
Il fatto che gli immobili siano stati già oggetto di sanatoria costituisce una precondizione giuridicamente irrinunciabile proprio in ragione della circostanza che la registrazione della variazione di accatastamento di un immobile già rurale deve fondarsi su un titolo di legittimazione che renda conforme la situazione di fatto alla situazione di diritto sulla quale il ri-accatastamento è effettuato.
Requisiti di ruralità e principio di prova
Il fabbricato abitativo oggetto della causa era stato condonato nella sua interezza come fabbricato rurale, e la planimetria prodotta dall’appellante, antecedente al condono, riportava una variazione catastale che riguardava solo il secondo piano del fabbricato, mentre nulla era stato prodotto, sul piano documentale, con riferimento al primo piano e al pianterreno, ove si collocherebbe la “nuova unità immobiliare” oggetto della Scia.
Tale documentazione, a parere del Consiglio di Stato, non integra la soglia del cd. principio di prova, utile a consentire l’attivazione dei poteri istruttori giudiziali, in base al cd. principio dispositivo con metodo acquisitivo, che informa il processo amministrativo. Manca quindi la seconda precondizione, rappresentata dalla dichiarazione in catasto entro il termine del 31 dicembre 1995, prorogato fino al 31 dicembre 2000 da successivi interventi del legislatore e poi “riaperto” fino al 31 dicembre 2008.
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