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“Il mio pedigree è di destra“, ma tiene a precisare che il suo tatuaggio non rappresenta un’aquila fascista ma “una moneta del primo secolo”. Sono le parole del ministro della Cultura, Alessandro Giuli, che per la sua prima uscita pubblica dopo la nomina sceglie la convention Italia, le radici della bellezza organizzata dai gruppi Parlamentari di Fratelli d’Italia a Brucoli, frazione marinara di Augusta, nel Siracusano.
Non nasconde le sue origini, ma, sollecitato dalle domande del giornalista Pietro Senaldi, spiega che la missione del suo dicastero “non è, e non è mai stata, quella di rappresentare la cultura di destra“. Il suo ministero, ribadisce con fermezza, “rappresenta con orgoglio la cultura italiana, in Italia e nel mondo, in tutte le sue articolazioni”. “È ovvio – aggiunge – che per tanti anni si è depositata una polvere, una coltre di silenzio, di diffidenza, perché la storia del cosiddetto catto-comunismo italiano ha fatto sì che la spartizione delle sfere di influenza consentisse a larga parte delle classi dirigenti di sinistra di occupare posti strategici, dopo la Dc. Ma questo appartiene al passato. La logica del rancore? Anche basta…. Non c’è niente da recriminare, ma da essere attrezzati“.
Durante il suo intervento ha ripercorso le origini della sua famiglia e il suo attivismo da giovane dal quale di è “disintossicato”: “Sono nato di destra, in una famiglia di destra, con nonno monarchico e un nonno che ha fatto la marcia su Roma, con un padre che conosceva Almirante – ha spiegato Giuli – avevo tutto il pedigree per non poter negare la mia estrazione. Ho avuto da minorenne un periodo in cui mio padre diceva ‘statti calmo’, ho avuto anche una esperienza extraparlamentare, sono contro l’idea di cancellare le tracce, è tutta salute aver imparato dalla vita. Poi ho iniziato gli studi universitari e c’ho lavorato sopra e mi sono disintossicato“.
Una “precisazione necessaria” la dedica ai suoi tatuaggi: “Quando i soliti antipatizzanti dicono ha un’aquila fascista e poi è un attimo a dire gli piace Roma antica quindi è un seguace del Mussolinismo. È la riproduzione di una insegna del primo secolo dopo Cristo. O uno si mette in testa di fare una retata per ricostituzione del partito fascista – afferma il ministro – da Augusto a tutta la dinastia Giulio-Claudia e allora va bene, ma è un po’ complicata farla passare per aquila fascista, va bene la distopia, ma sempre una moneta del primo secolo resta”, ha ribadito il successore di Gennaro Sangiuliano.
Giuli ribadisce che da parte della premier Giorgia Meloni non c’è stata alcuna raccomandazione e che il suo ministero “è in continuità con il mio predecessore, poi – precisa – ognuno tenta di lasciare la propria impronta” e lui punta a “uno sguardo maggiore alle periferie” e a “riavvicinare i lettori alla cultura, con un incentivo dal basso per creare domanda di qualità culturale”. Sul suo ultimo esame prima della laurea, che definisce “una debolezza senile”, confessa di essere stato costretto a “nascondere la notizia per le contestazioni”, di essere “stato torchiato dal professore Gaetano Lettieri” e sul voto avuto, trenta, dice che “la lode sarebbe stato un elemento sovrabbondante”. Parla del Teatro Massimo di Palermo, “a breve scelte condivise e non calate dall’alto né provenienti dal basso”, e precisa sulle società che producono film: “C’è un accordo con il governo per non vedere risorse disperse e si è deciso di stabilire regole più rigide e misure di controllo affinché la buona reputazione del grande cinema italiano non venga sporcata da dispersione di soldi che non conducono da nessuna parte”, ma precisa Giuli, “non esisteranno privilegi e chi sa fare cinema non ha alcunché da temere”. C’è anche il tempo per parlare dell’imitazione che fa di lui Maurizio Crozza: “Mi lusinga e diverte, oltretutto sembra più giovane di me, quindi ci guadagno qualche anno…”.
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